Готовь бочки летом: изображение августа в итальянских скульптурных календарях XIII века из Феррары и Ареццо. Текст для продвинутого уровня владения языком.
Domande e suggerimenti
- Qual è l’origine del termine “ferragosto”?
- Perché il mese di agosto ha 31 giorni anziché 30?
- Perché nei cicli di mesi di Ferrara e di Arezzo sono raffigurate delle botti?
- Perché nelle chiese, nel Medioevo, si potevano trovare delle immagini di lavori agricoli? Quali termini relativi ai lavori agricoli sono presenti nel testo?
- Trovate nel testo gli equivalenti italiani di «производить невыгодное впечатление», «смена времен года», «с сосредоточенным видом», «религиозные праздники», «мелкие каждодневные заботы».
- Vi invitiamo a cercare altre immagini del mese di agosto nei calendari medievali e a pubblicarle nella sezione commenti nei nostri profili social.
Il calendario di pietra: agosto, di Grazia A., autrice del blog sull’arte Senza dedica
Dixe agosto: io cunzo le botte,
Vago cerchando quale eno più rotte,
mettole fuora de dì e de notte
perché ne esca lo male savore
[Dice Agosto: io metto in ordine le bottii,
cerco quelle più rovinate,
le metto all’aria aperta di giorno e di notte,
affinché perdano il cattivo odore. – AZ]
(Ballata dei Mesi del XIV secolo, Italia settentrionale)
Siamo nel pieno dell’estate, ed è già agosto, l’ottavo mese dell’anno. Un mese “imperiale”, almeno se si giudica dal nome che gli fu attribuito in onore di Augusto: fu il Senato romano a ribattezzare così il più banale “sextilis” e ad assegnargli un giorno in più, in modo che ne avesse il massimo, trentuno, e non sfigurasse a confronto del vicino luglio, dedicato a Giulio Cesare. Le feste di metà mese furono allora chiamate “feriae Augusti”, diventate poi ferragosto e rimaste, fino a ora, un periodo di vacanza. Chi può va in viaggio, in montagna o al mare: tutto il mese, del resto, è considerato tradizionalmente riservato all’ozio e al riposo.
Vacanze, ozio? Niente di tutto questo nei calendari di pietra di Ferrara e di Arezzo degli inizi del XIII secolo. Di vacanza, a quei tempi, non si parla di sicuro: un periodo di riposo, se pure c’è, è concesso solo ai signori. I contadini, se hanno un momento libero, si dedicano alle riparazioni degli arnesi che serviranno di lì a poco: sanno che, dopo la fine della trebbiatura, devono già prepararsi alla vendemmia. L’avvicendarsi delle stagioni per loro è scandito dagli stessi gesti, dallo stesse occupazioni che si ripetono invariate di padre in figlio, di generazione in generazione. Non conoscono, con tutta probabilità, le “Feriae Augusti”, né, tanto meno, quale sia il nome del mese o l’antico imperatore che glielo ha dato.
Sanno, però, che è arrivato il tempo di riparare le botti. Ed ecco che, nella formella del ciclo di Ferrara, ora conservata al Museo della Cattedrale, all’ombra di un fico carico di foglie e di frutti, un giovane contadino, a piedi nudi e con la corta tunica legata in vita dalla cintura, curva le spalle in avanti e, con l’espressione assorta, si china su una botte, composta da doghe chiuse da cerchi di vimini o di salice intrecciato. Purtroppo, le ingiurie del tempo non hanno risparmiato la formella e mancano le mani e parti delle braccia.
Come si svolgesse la scena, lo si capisce meglio dal mese di Agosto del Ciclo della Pieve di Santa Maria Assunta ad Arezzo, che deriva dal ciclo ferrarese, ma che – a differenza di quello – è rimasto intatto perfino nei colori. Anche qui, sullo sfondo, c’è un rigoglioso albero di fico che, con la promessa della dolcezza dei suoi frutti, sembra rendere meno dura la fatica. Un giovane, abbigliato di una corta tunica estiva, consolida con un mazzuolo, alternando i colpi, le doghe e i cerchi di una botte.
Sa bene quello che deve fare: “un colpo al cerchio e uno alla botte”. Gesti antichi e talmente ripetuti da diventare un modo di dire dei più comuni. La riparazione delle botti è un lavoro duro. Un lavoro essenziale, anche se ai più può parere meno importante delle attività legate alla coltivazione del grano o alla vendemmia, che da sole occupano gran parte dell’anno e a cui partecipano tutti. Eppure, anche questa occupazione, che sembrerebbe secondaria, trova il suo spazio nelle rappresentazioni dei Cicli dei Mesi.
Per i contadini che, in occasione delle feste comandate, entrano nelle chiese, immagini come queste sono importanti. Rappresentano, per loro, la conferma che – scolpiti sulle porte d’ingresso dell’edificio sacro – non ci sono solo i lontani episodi della Bibbia, del nuovo Testamento o delle storie dei Santi che, magari, sanno a malapena riconoscere. Quando guardano le sculture dei Mesi vedono, invece, che lì è rappresentata la loro vita di tutti i giorni, in ogni suo aspetto. Lì non hanno bisogno di spiegazioni: quei gesti li riconoscono uno a uno. E sentono che, nella dignità di quelle rappresentazioni, anche la loro più minuta fatica quotidiana assume una dimensione quasi sacra.