Мы предлагаем вам совершить путешествие во времени и прочесть текст об удивительном мире итальянских средневековых календарей. Этот материал – начало тематической серии, новые выпуски которой будут публиковаться на нашем сайте в начале каждого месяца. Сегодняшний текст рассказывает о том, как язычество, христианство и повседневная жизнь итальянских крестьян сплелись в единое целое в скульптурном изображении января в календаре XIII века из города Ареццо (Тоскана).
Domande e suggerimenti
- In che modo la raffigurazione del mese di gennaio del calendario di Arezzo unisce in sé dei motivi pagani e cristiani, oltre che dei riferimenti alla vita quotidiana della società italiana del Duecento? Qual è il significato del dio Giano? E perché nelle chiese, nel Medioevo, si potevano spesso trovare delle immagini di lavori agricoli?
- Quali oggetti di uso quotidiano sono menzionati nel testo?
- Trovate nel testo gli equivalenti italiani di «миллисекунда», «изгнание из рая», «искупление вины», «сохранить исходные цвета», «согласно обычаю, бытовавшему в течение всего Средневековья», «двуглавая фигура», «одеяние», «резчик по камню», «соприкосновение, воссоединение»
- Cosa significano le seguenti parole ed espressioni: scandire il tempo, pieve, intradosso, trave, solenni quanto distanti?
- Analizzate, dal punto di vista grammaticale, il sintagma guardando il succedersi dei mesi e pensate a come esso potrebbe essere tradotto.
Il calendario di pietra: gennaio, di Grazia A., autrice del blog sull’arte Senza dedica
Dixe Zenaro: io me stago del fuogho
Manzo e beuo quel che me fa luogo.
[Dice Gennaio: io me ne sto accanto al fuoco,
mangio e bevo quello di cui ho bisogno.]
(Ballata dei Mesi del XIV secolo, Italia settentrionale)
Oggi facciamo un viaggio nel tempo, fino ad arrivare al XIII secolo, quando le ore, i giorni, gli anni non sono ancora misurati al millesimo di secondo. E quando il tempo di Dio è scandito dalle campane delle chiese e dalle feste liturgiche e il tempo degli uomini dalle stagioni e dagli antichi ritmi delle coltivazioni. In un periodo in cui i contadini sono considerati il fondamento stesso della società, la fatica degli uomini non è vista più come la conseguenza della maledizione divina al momento della cacciata dall’Eden, ma come un riscatto dalla colpa e un modo per raggiungere la salvezza.
Le grandi cattedrali, come le umili chiese di campagna, si riempiono, sempre più spesso, di calendari scolpiti con le raffigurazioni dei Mesi – tra Francia e Italia ne sono stati contati più di centoventi- dove il trascorrere dell’anno è ritmato dalle immagini delle attività agricole. <…> Per staccare il primo foglio, ho scelto, almeno, il colore dell’unico Ciclo dei Mesi che mantenga la policromia originale, quello che orna l’intradosso dell’arco del portale maggiore della pieve di santa Maria Assunta ad Arezzo. Ecco dunque come appare il Gennaio di otto secoli fa:
È il mese del freddo più intenso, quando il gelo obbliga a sospendere i lavori dei campi, ma è anche il periodo delle feste, dal Natale, alla Circoncisione, all’Epifania. La scritta “Hic est bifrons Ianuarius”, lega – com’era consuetudine per tutto il Medioevo – il mese di gennaio a Giano, la divinità da cui prende il nome. Il dio, tradizionalmente raffigurato con due volti, uno verso il passato e l’altro verso il futuro, era considerato, nell’antica Roma, il protettore dell’inizio e della fine, degli ingressi e dei passaggi, il simbolo del cambiamento e il custode di tutte le porte, da quella di casa a quelle delle città.
L’antica figura allegorica bifronte si trasforma qui in un contadino, che, nel chiuso di una stanza, si riscalda al calore di un fuoco, alimentato da una catasta di legna, su cui è posato un grande paiolo. Da una trave pendono gli insaccati, la riserva di cibo più adatta ai lunghi mesi invernali. Per difendersi dal freddo indossa una lunga veste rossa a maniche lunghe e un pesante mantello azzurro; ai piedi calza robusti zoccoli. Con un braccio alza una coppa per brindare all’anno nuovo, mentre con l’altro sorregge la brocca di vino dell’anno passato.
Siamo intorno al 1230, e l’autore delle sculture è probabilmente uno di quei lapicidi, per lo più provenienti da Como e dalla valle d’Intelvi, che all’epoca si spostano di città in città, seguendo i cantieri delle cattedrali. Forse è arrivato ad Arezzo dopo aver lavorato a Parma e a Ferrara, portando con sé tutta la sua esperienza e la sua capacità di arricchire la raffigurazione tradizionale con dettagli di un realismo minuto. Ed è questo che riesce a trasferire nelle sue scene.
Dentro la chiesa, nello spazio sacro della preghiera, i fedeli rendono omaggio alle solenni quanto distanti immagini di Cristo, della Madonna o dei Santi, ma lì, nelle raffigurazioni dei Mesi, sopra la porta d’ingresso, nel punto di congiunzione tra il mondo di Dio e quello dell’uomo, riconoscono finalmente se stessi. Basta alzare gli occhi per riscoprire, nella rappresentazione di gennaio, al di là dell’allegoria di un antico dio, di cui forse ignorano perfino il nome, qualcosa che conoscono e che fa parte della loro vita. Possono vincere la paura del freddo e della fame, ritrovando – nella scena – la sensazione del calore del fuoco, della sicurezza del cibo e perfino il gusto di una buona coppa di vino. E, guardando il succedersi dei mesi, dove l’inverno cede eternamente il passo alla primavera, possono rinnovare la speranza di un futuro migliore.
Il testo originale di Grazia si può leggere qui.
Dallo stesso ciclo: Febbraio, Marzo, Aprile, Maggio, Giugno, Luglio, Agosto, Settembre, Ottobre, Novembre, Dicembre.