Сбор урожая винограда: изображение сентября в итальянском скульптурном календаре XIII века из Феррары. В чем проявляется реализм средневековой скульптуры и есть ли благородство в повседневных трудах крестьянина той далекой эпохи. Текст для продвинутого уровня владения языком.
Domande e suggerimenti
- Quali lavori agricoli vengono menzionati nel testo?
- Perché per i contadini medievali la vendemmia era un momento dell’anno molto importante e carico di valori?
- Come si manifesta la maestria dell’artista che ha scolpito il contadino impegnato a raccogliere l’uva, nella formella del Ciclo dei Mesi di Ferrara?
- Che cosa significano i termini “vite”, “grappolo”, “pampino”, “tralcio”?
- Trovate nel testo gli equivalenti italiani di «приобретать священное значение», «неотъемлемая часть», «корзина из лозы», «бродячий мастер», «осязаемое свидетельство», «сосредоточенное выражение лица».
- Vi invitiamo a cercare altre immagini del mese di settembre nei calendari medievali e a pubblicarle nella sezione commenti nei nostri profili social.
Il calendario di pietra: settembre, di Grazia A., autrice del blog sull’arte Senza dedica
Dixe Septembre: io coglio de li fighi e l’uva vendemmo,
strengo le botte,
e manzo li boni chaponi
e bevo del mosto.
[Dice Settembre: io raccolgo i fichi e vendemmio l’uva,
stringo le botti,
e mangio dei buoni capponi,
e bevo del mosto. – AZ]
(Ballata dei Mesi del XIV secolo, Italia settentrionale)
Settembre, nono mese dell’anno, il periodo in cui l’estate declina e lascia il posto all’autunno. Nessun dio della mitologia e nemmeno nessun imperatore nel suo nome: semplicemente era il settimo mese del calendario romano, che faceva iniziare l’anno da marzo. E da sette, appunto, ha preso il nome.
Nei calendari di pietra dell’inizio del XIII secolo, settembre è il tempo della vendemmia. Dopo i lavori legati alla mietitura e alla trebbiatura del grano, la vendemmia era il momento più atteso dell’anno e l’occasione di una festa per l’intera comunità: il vino era importante per tutti. Non solo per la liturgia, dove, nel rito dell’Eucarestia, acquistava, insieme al pane, una valenza sacra, ma anche nel quotidiano, dove era consumato ogni giorno – e non solo dai ricchi – tanto da essere spesso considerato parte integrante del salario e da costituire un’utile e pregiata merce di scambio.
Nella formella dedicata a settembre del Ciclo della Cattedrale di Ferrara (ora conservata al Museo della Cattedrale), gran parte della scena è occupata da una grande vite, con i suoi pampini e i suoi tralci, da cui pendono grappoli così pieni e maturi da far immaginare una raccolta più che abbondante.
Il contadino, a piedi nudi, è abbigliato con una corta tunica che, per comodità, ha annodato su un fianco. Per non impigliare i capelli nei tralci della vite si è messo in testa una di quelle cuffiette col sottogola che all’epoca erano comunissime. Con grande concentrazione, sta cogliendo i pesanti grappoli per depositarli nell’ampio cesto di vimini, già colmo, ai suoi piedi. I particolari della formella sono di uno straordinario realismo, tanto che gli esperti di pratiche agricole hanno potuto notare che la vite è sostenuta da un palo: sarebbe questa una testimonianza di un sistema di coltivazione in filari ravvicinati, diverso da quello “ad arboretum”, con le viti in coltura promiscua, praticato in età romana.
Altri dettagli, invece, come la perizia con cui sono sfruttate la luce e l’ombra, la cuffia così aderente alla testa da far trasparire l’orecchio, le vene che si intravedono nella mano destra o l’intreccio del canestro di vimini parlano della straordinaria abilità dell’ignoto scultore. Uno di quei maestri itineranti che, nella prima metà del Duecento, passano da un grande cantiere all’altro e che portano in Italia le novità del naturalismo elaborato nelle sculture delle cattedrali dell’Ile-de-France. Un artigiano abituato alla durezza del lavoro e che probabilmente ben conosce, per averle viste nelle campagne nel corso dei suoi spostamenti, quelle attività agricole di cui sa rendere una così viva e tangibile testimonianza. E che, soprattutto, sa restituire, nel volto assorto e nobile del contadino, tutta dignità della fatica di tutti i giorni.